Introduzione: un interprete del mondo antico: Chester G. Starr / di Antonio La Penna

L’equilibrata concezione dell’uomo, il carattere sereno, persino severo della tragedia, le passioni prorompenti che vengono frenate da un senso del giusto limite, sono proprio queste le caratteristiche della visione classica.
P. XXIII

I rapporti dei dominatori romani con le classi dirigenti sono messi bene a fuoco anche a proposito della riconquista della Grecia e dell’Asia Minore da parte di Silla dopo la riscossa guidata da Mitridate. Silla, certamente capo abile ed energico, fu agevolato nel suo compito dal fatto “che le classi dirigenti greche avevano compreso che stavano peggio sotto il dominio pontico che non sotto quello romano”: infatti “Mitridate aveva cercato di sollevare contro di loro le classi popolari”. Anche i ricchi dovettero contribuire a pagare una pesante tributo dopo la sconfitta, ma in compenso videro saldamente ristabilita la loro posizione di predominio. Il dominio romano sul mondo ellenistico è dunque caratterizzato in modo essenziale dall’alleanza dei dominatori romani con l’élite dominante greca. Lo Starr fa anche rilevare l’importanza di questa connessione per la storia mondiale: ess, infatti, costituisce la base del duraturo impero bizantino. Per parte mia credo che vada aggiunto un particolare importante: il concetto che nei paesi del Mediterraneo orientale il dominio romano doveva poggiare sull’élite greca e che, quindi, ai greci andava mantenuta e assicurata una posizione di privilegio, è stato realizzato da Lucullo più che da Silla. È vero che Lucullo era un pupillo di Silla, ma può darsi che in questo abbia visto meglio del maestro. È quasi superfluo aggiungere che il legame fra imperatori e classi dominanti locali viene messo in piena luce da Augusto in poi.
P. XXVII

 

 

Davanti a questa interpretazione qualche lettore sarà indotto a chiedersi come mai i gruppi politici e sociali, fonti di forza vitale, si sono dissolti.  A causa dell’individualismo? Si cadrebbe in un circolo vizioso. A un certo momento i valori proclamati dal gruppo non riscuotono più il consenso di una larga parte dei suoi membri, ma continuano a essere proclamati perché essi sono il sostegno dell’élite dominante del gruppo e anche perché non sono ancora emersi valori che li sostituiscano. Si tratta di collocare quel certo momento in una dialettica che apre la contraddizione, per esempio un processo di impoverimento economico o anche di limitazione di libertà per una parte del gruppo. L’interpretazione dello Starr non sembra puramente ideologica e afferra certamente una realtà storica; se non riesce a convincere del tutto, è perché, io credo, l’individualismo è per lui una malattia intellettuale ed etica, che nasce e si risolve solo nella sfera intellettuale ed etica. Ciò resta vero anche se egli si mantiene sul terreno dei rapporti sociali, senza isolare le idee, e anche se non è incline a spiegare i grandi fenomeni storici con un fattore unico. Alcune radici della sua interpretazione, come rivela un passo di Civilisation and the Caesars, sono nella Storia della filosofia di Hegel: l’impero è una dualità nata da una scissione, che mette da una parte il Fato e l’universalità astratta della sovranità, dall’altra l’astrazione individuale (sottolineato nel testo). Lo Starr continua: “Che il conflitto fra i due potesse portare alla miseria dell’umano, Hegel stesso lo ha mostrato: l’individualismo e la decadenza della vita pubblica erano correlati”. Ma le radici più vicine e più importanti dell’interpretazione dello storico americano andranno cercate nella crisi della nostra epoca, in cui il rifiuto o il disinteresse per la vita pubblica sono fenomeni ormai più diffusi della rivolta contro la società e forse più preoccupanti; l’America ha conosciuto questa malattia prima dell’Europa. Non è la prima volta che la riflessione storica sulla decadenza e la fine del mondo antico viene stimolata dall’interessa o dall’angoscia per la crisi della propria civiltà; lo noto con piacere nello Starr, che si dimostra così uno storico non puramente accademico. Se ripensiamo qui alla sua opera sulle origini della civiltà greca, sembra che, in risposta alla disgregazione dei gruppi politici e sociali, egli vagheggi una società in cui l’uomo libero collabori attivamente col suo gruppo, una società austera, senza consumismo, ricca di vita intellettuale e di cultura, e che quell’ideale sia stato realizzato in modo raro dalla polis greca: questo, credo, il senso del suo filellenismo.
Tornando all’Impero romano, accenno rapidamente ad altri concetti meno propri dello Starr, ma convincenti ed oggi largamente accettati. Le cause della decadenza e del crollo dell’impero sono soprattutto cause interne: nel 4° secolo 2l’impero stava sprofondando nella barbarie prima che arrivassero i barbari”. Già nel 2° secolo si delineano altri fenomeni patologici oltre la sterilità della cultura: “La tendenza del governo centrale a invadere la sfera d’azione delle comunità locali” e l’”incessante espansione della burocrazia”. Per questo secolo non bisogna limitarsi a un quadro ricavato dalle iscrizioni laudatorie, dai panegirici, , dalle statue onorifiche: le masse partecipano in qualche misura della prosperità generale, ma sono anche soffocate dalla macchina statale e sociale e danno segni di malessere, talora con rivolte. Per il cristianesimo viene sottolineata la necessità di non considerarlo come un fenomeno separato, ma di tener conto di una certa convergenza fra cultura pagana e cristiana. La cristallizzazione dei ceti sociali da Diocleziano in poi è come una lotta disperata contro la morte, quasi un mummificarsi prima di entrare nella tomba. Un giudizio molto calzante, degno di essere ricordato, è quello che egli dà a proposito della legislazione del 4° secolo. Molti studiosi moderni, partendo dagli editti e dalla loro proliferazione, si son fatta l’idea di un mostruoso assoggettamento dell’individuo allo Stato; essi sono influenzati da esperienze moderne di dispotismo e di invadenza burocratica; “in realtà, invece, proprio la veemenza degli editti è di per sé un chiaro segno che il potere dello Stato era in declino”. Altro concetto accettabile e largamente accettato, che segnalo solo per la sua vasta portata, è quello della continuità fra i nuclei sociali e politici sopravvissuti alla disgregazione inarrestabile e i nuclei feudali dell’alto Medioevo.
Anche nella storia dell’impero, in particolare nel tardo impero, vi sono brevi ritratti felici. Segnalo, per esempio, la synkrisis fra Diocleziano e Costantino: Diocleziano “fu il massimo riformatore della storia romana, sebbene egli fosse uno zelante conservatore di quelli che a suo giudizio erano i vecchi sistemi di Roma”; “la riorganizzazione militare, invece, dovette molto a Costantino, vero figlio della guerra, il quale era molto più brutale e dittatoriale nelle sue azioni”. In Giuliano viene notata la pretesa di presentarsi come “genuino rappresentante dell’ellenismo razionale”, mentre, si sottintende, è molto impregnato dell’irrazionalismo del suo tempo.
La riflessione sulla decadenza e la fine del mondo antico non è, come abbiamo visto, senza connessioni con le inquietudini della nostra epoca: ma le inquietudini non sono tali da scuotere seriamente il fondo ottimistico dello storico americano. Come per il Medioevo ellenico, la fiducia nel progresso ricorre, per sopravvivere, al “giustificazionismo” storicistico: “la decadenza dell’Occidente fu una svolta storica necessaria per il successivo sbalzo in avanti, anche se sul momento diede luogo a immani devastazioni”. Ritorna il concetto del costo del progresso. Credo che per seguire lo Starr fino a questo punto la fiducia razionale debba mutarsi in fede: la ragione, senza portare necessariamente alla disperazione, deve ammettere che non sempre la storia è progresso, che essa conosce anche arretramenti. Comunque, anche la lettura della conclusione convince che la ricchezza di problemi e di stimoli fa di questa Storia un’opera da meditare, oltre che un agile e limpido libro d’informazione.
P. XXX-XXXII

 

 

 

 

 

 

 

Le origini della civiltà

Cap. 1. Le prime conquiste dell’uomo

Esaminata la storia del genere uman